Recensione “Specchio delle Sue brame.Semiotica e analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo”: pubblicità, potere e stereotipi.

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La pubblicità è stata oggetto di numerosi studi di carattere sociologico, economico, psicologico e antropologico. Tuttavia, lo sguardo d’analisi critica si è discostato dall’ambito accademico, specialmente negli studi sociologici, per concentrarsi su analisi commerciali, economiche e poco attente al ruolo “politico” della pubblicità. Spesso, testi con analisi critiche, sono stati realizzati nell’ambito del giornalismo d’inchiesta (parliamo dell’Italia) come il lavoro di Lorella Zanardo (2010) sul “corpo delle donne” o la triologia di Loredana Lipperini, “Ancora dalla parte delle bambine” (2007); “Non è un paese per vecchie” (2010); “Di mamma ce n’è più d’una” (2013).

Interessante, e illuminante, è stata la lettura del testo a cura di Laura Corradi  – “Specchio delle sue brame. Semiotica e analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo”. Il testo unisce i contributi della teoria femminista e degli studi di genere, con una più ampia analisi del ruolo della pubblicità come “dispositivo” politico e pedagogico, capace, non solo di creare profitti (l’anima del commercio), ma anche come strumento del potere dei media di “modellare la natura della consapevolezza sociale e la natura dell’opinione pubblica” (McGullagh, 2002:151).

Pubblicità, consumismo e potere

Con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, e con il progressivo diffondersi della società dei consumi e dei consumatori (Bauman, 2008), la pubblicità è diventata uno dei dispositivi di “coercizione” e di “rieducazione sociale” per eccellenza. Nel contesto del capitalismo moderno, le pubblicità sono divenute “espressione di un meta-desiderio”, esse non riflettono “i nostri sogni più intimi, li costruiscono. Le pubblicità manifestano ciò che la struttura sociale ed economica desidera, e desidera che noi desideriamo, per la propria sopravvivenza, non per la nostra felicità” (Corradi, 2012:25). Attraverso la pubblicità si è andato diffondendo il mito del consumo: non si acquista più, in effetti, sulla base della necessità (almeno nel ricco occidente), bensì sulla spinta del bisogno stesso di consumare: “consumo, dunque sono”, titola uno dei testi del sociologo polacco Zygmunt Bauman. Per questo non si può non concordare, a mio avviso, con quanto affermato da Bauman (2005), quando racconta del ruolo sempre più importante degli “scarti”: il consumo fine a se stesso ha prodotto un mondo pieno di scarti, rifiuti. Nella sua visione critica e forse un po’ apocalittica, anche la vita umana è diventata totalmente merce di consumo, e in effetti, considerando come i corpi sono usati essi stessi nelle pubblicità, per commercializzare prodotti, è difficile dargli torto.

Nel testo di Corradi, l’aspetto “consumistico” della pubblicità è affiancato a quello politico. Ho trovato l’accostamento importante e originale, perché ha messo in evidenza un qualche cosa che, purtroppo, sembra essere sfuggito, almeno negli ultimi tempi, allo sguardo critico della sociologia (almeno quella di casa nostra). Mentre gli studi in ambito anglosassone sono molto sviluppati, ricchi e critici; in ambito italiano la sociologia non è andata molto oltre la teoria femminista. Manca, a mio avviso, la capacità di guardare all’insieme, considerare i particolari per costruire il mosaico.

La pubblicità, in modo più marcato attraverso gli stereotipi di genere, ripropone disuguaglianze, le giustifica e le legittima agli occhi dei “membri ordinari della società” (Berger & Luckmann, 1966). Il ruolo della pubblicità è pro-attivo rispetto alla creazione di stereotipi e alla loro cristallizzazione, e in questo senso è necessario osservare, analizzare e riflettere il ruolo politico delle pubblicità, specie in un contesto come quello odierno dove ai vecchi media si sono affiancati i nuovi, caratterizzati da un’elevata velocità di trasmissione delle informazioni, una maggiore capacità diffusiva e maggiore economicità degli interventi, così che la pubblicità non solo diventa più invasiva, ma anche “globalizzata”. Le pubblicità diventano nuovi modi di intendere il potere, specie quando possono rappresentare un modo per plasmare gli usi e i costumi di altre popolazioni, magari imponendo il modello capitalistico di consumo occidentale, anche in contesti apparentemente estranei (nel testo di Corradi si parla, per esempio dell’India, ma pensiamo anche alla Cina e ai paesi del sud est asiatico, e così via).

Genere e potere

Il testo di Corradi non è da intendersi, a mio avviso, come un libro sulle questioni di genere, quanto piuttosto un testo che analizza il ruolo politico della pubblicità attraverso la categoria interpretativa del genere (tra le altre). Con “politico” non dobbiamo intendere qua i meccanismi elettivi, i sistemi partitici o le intenzioni di voto, bensì la capacità della pubblicità di influenzare l’opinione pubblica, di modellare il pensiero e i sistemi di credenze, infine la capacità di interferire con la nostra consapevolezza sociale, modificando la percezione stessa della realtà, attraverso stereotipi di genere, di razza, di sesso, di orientamento sessuale e via dicendo.

In tal senso, la pubblicità è più che un mero strumento per fare profitto o un modo di intendere il capitalismo. La pubblicità diventa dispositivo di “coercizione sociale” e di “propaganda ideologica”, che sfrutta, tra le altre, la dimensione del genere per ripresentare stereotipi e disuguaglianze. Analizzare la pubblicità come una ideologia (Corradi, 2012:35) significa assumere che la pubblicità ha un ruolo attivo nei processi di legittimazione delle disparità sociali e dunque è interessante, proprio per la sociologia, osservare in che modo “cambiano le società in termini di potere e come vengono ridisegnati, anche a livello simbolico, i rapporti sociali fra le classi, i generi, le appartenenze etniche, le generazioni, e le dimensioni identitarie fondate sulla sessualità” (ibidem).

Presentare questo testo come un “altro studio sulle questioni di genere”, è riduttivo. Il testo contiene contributi di vari autori dedicati allo studio delle diseguaglianze di classe (Chiodo e Corradi), di razza (Perilli), per orientamento sessuale (Baldocchi e Tiano), sulle generazioni (Corradi). L’analisi socio-politica, come dice il sottotitolo è trasversale alle varie dimensioni del vivere sociale. Il punto di vista privilegiato, mi sento di dire, è quello del “gender”, poiché con questa categoria, da tempo, si è riusciti ad individuare sistemi di disuguaglianze creatisi e riprodottisi sui differenziali di potere tra uomo/donna in primis e tra eterosessualità/omosessualità poi. Come aveva scritto già Scott (1986:333) “il genere è un elemento costitutivo delle relazioni fondate su una cosciente differenza tra i sessi, e il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere”. Tali rapporti si sono riprodotti in ogni aspetto del vivere, e con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, tali rapporti si sono riversati nel “virtuale”. Si pensi alle pubblicità commerciali degli anni cinquanta e sessanta, dove la donna era rappresentata come casalinga e dunque target delle intenzioni commerciali delle imprese d’elettrodomestici, per esempio. Non solo la pubblicità aveva preso in prestito uno stereotipo sul femminile, ma lo aveva amplificato e riproposto in forme sempre nuove, così da oltre sessant’anni abbiamo la candeggina pubblicizzata da una simpatica nonna, una pasta fumante servita ai figli e al marito a tavola dalla moglie servizievole e così via.

Ecco, allora è proprio vero, come scrive Corradi, che “le pubblicità sono uno specchio” attraverso cui possiamo osservare e comprendere la società e le sue trasformazioni. Sfruttando le immagini (assieme a colori e musica), le pubblicità trasmettono saperi preconfezionati sulla vita e hanno uno scopo anche (o soprattutto) normativo: ecco come dovrebbe essere questo, quello e quest’altro. Prendiamo per esempio la pubblicità della Mulino Bianco. Nel linguaggio comune è facile sentir parlare della “famiglia mulino bianco”, ossia quella rappresentazione (icona, per usare un concetto di McLuhan, citato da Corradi, 2012:27) standardizzata di famiglia eterosessuale, occidentale e di estrazione borghese, che è felice e perfetta. La famiglia Mulino Bianco è diventata un modello di riferimento nell’immaginario collettivo italiano, e proprio in queste ore, il Presidente Guido Barilla, intervistato alla trasmissione radiofonica La Zanzara, ha fatto una dichiarazione per alcuni forte contro gli omosessuali: “Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale. Non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro, la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale. Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell’azienda”. È chiaro, alla luce di quanto affermato e su quanto affermato nel libro da Corradi, come la pubblicità sia fondamentale per poter rappresentare lo status quo, certo, ma anche per conservarlo, sfruttando proprio stereotipi e visioni cristallizzate del mondo, nello specifico poi la donna, che ancora una volta ha il suo ruolo fondamentale nella madre/moglie, sempre “al servizio di”.

Ma c’è anche un altro aspetto della mercificazione del corpo femminile negli spot. Infatti, quasi ovunque, il corpo della donna è usato, in pose più o meno sexy, per pubblicizzare ogni genere di prodotto “maschile”: dalle moto alle auto da corsa (anche questo uno stereotipo, perché mai una donna non dovrebbe amare una moto o un auto da corsa senza essere etichettata come una lesbica, per esempio?), dal rasoio alle sigarette. Attraverso la rappresentazione del corpo femminile nelle pubblicità destinate ai “maschi”, si è andato riproponendo uno specifico ideale di “maschilità” e di conseguenza di “femminilità” (che è contraddittorio, poiché si passa dalla madre e cuoca amorevole in casa, l’angelo del focolare, alla sexy signorina in pantaloni di pelle stesa su una moto; sacro e profano).

Questo sistema di disuguaglianze legittimate attraverso le pubblicità, ha un chiaro stampo “patriarcale”, dove l’uomo è la figura di rilievo, dominante e a cui la società guarda. La maschilità è contrapposta alla femminilità, e la femminilità è rappresentata e usata per le “brame” del maschio. Per questo la maggior parte delle pubblicità gioca sugli stereotipi di genere e hanno uno sfondo “sessuale”, perché viene solleticata la natura “primordiale” del maschio e gli viene ricordato che essere maschio è soprattutto non essere femmina.

Nuove prospettive per una critica sociologica

Del testo curato da Laura Corradi, ho apprezzato l’approccio non segmentario, non iper-selettivo e non iper-specializzato, tipico del destino delle moderne scienze sociali (nell’illusione, sempre mia idea, di potersi avvicinare alla comprensione totale e oggettiva di un fenomeno sezionandolo fino al più microscopico aspetto, come una cellula in laboratorio, dimenticandosi del conteso e dell’ampiezza del mondo sociale e delle influenze che esso esercita sul fenomeno oggetto di studio). Per questo il libro è interessante, originale e capace di descrivere un fenomeno in modo, a mio avviso, più esaustivo che non altri lavori.

Troppo spesso lo studio delle disuguaglianze di genere è ristretto all’ambito degli studi femministi. Tutto ruota attorno alla “donna” e spesso, come aveva osservato Saraceno (2007) la debolezza di questi approcci è che chi parla di donne è sempre e solo un’altra donna. Difficile, infatti, come mi è stato rimproverato anche da alcuni iscritti al blog di sociologia che ho creato e gestisco, generare interesse su temi come questi, quando a occuparsene sono solo le donne, che scrivono, riflettono e parlano essenzialmente ad altre donne.

Eppure, la questione sollevata in questo libro, per me davvero interessante, andrebbe approfondita e discussa soprattutto con gli uomini. Le questioni di genere riguardano sia donne che uomini, è un errore continuare a credere che tutto ciò possa interessare o riguardare solo le donne. Oltre a quest’aspetto conoscitivo, interessante è l’approccio, la metodologia: uno studio intersezionale (Corradi, 2012:44) che spiega come “classe, genere, razza, età ed orientamento sessuale possono essere analizzate come categorie oppressive interconnesse, poiché vitalmente interconnesso è il sistema patriarcale, capitalista, razzista ed eterosessista”.

Vorrei concludere questa breve recensione, osservando che in questo testo c’è una “velata” critica al ruolo della sociologia, “colpevole” (dico io) di essersi progressivamente allontanata dal suo ruolo di scienza critica della società. Di questo abbiamo discusso assieme alla prof.ssa Laura Balbo, in occasione di un incontro: la sociologia è sempre più esclusa (oppure auto-esclusa?) dalla dimensione pubblica e dunque meno capace di comprendere la società e le sue trasformazioni. Si nota l’assenza della sociologia dal discorso pubblico: la società muta e la sociologia sembra sempre più distante e incapace di offrire analisi soddisfacenti.

Il testo di Laura Corradi può essere un interessante punto di partenza, un invito alla sociologia a riscoprire se stessa. Lo fa con un tema classico della sociologia, ossia lo studio delle disuguaglianze e le relazioni di potere all’interno della società. Propone un modo differente di osservare la pubblicità e invita a indagare a fondo il suo risvolto politico e ideologico. E personalmente vorrei che tale sforzo fosse compiuto insieme agli uomini, perché questi sono argomenti e temi che riguardano tutti noi.

Riferimenti

Bauman Z., (2005) Vite di Scarto, editori Laterza, Roma-Bari

Bauman Z., (2008) Consumo dunque sono, editori Laterza, Roma-Bari.

Berger&Luckmann (1968) La realtà come costruzione sociale, Il mulino, Bologna.

Corradi L., (2012) (a cura di) Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo., edizioni ediesse, Roma.

McGullagh C., (2002) Media Power: a sociological introduction, Palgrave Macmillanm Houndmillsm Basingstoke, Hampshire.

McLuhan M., (1967) Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano.

Saraceno C., (2007) Genere, età e generazioni nel fare sociologia, in Leccardi C., (a cura di) Tra i generi. Rileggendo le differenze di genere, di generazione e di orientamento sessuale, Guerini Studio, Torino.

Scott W.J., (1986) Gender: an usefull category for women’s History, in American Historical Review, vol.91, 5, 1986.

 

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